Feeds:
Articoli
Commenti

Dell’inutilità

Ragazzi, non ci siamo; ma non ci siamo per niente eh…
Se ricordate qualche tempo fa i vignaioli romagnoli aderenti alla FIVI hanno scritto una lettera in merito alla eventuale nuova DOC che si istituirebbe come da link qui:
https://www.mark-up.it/fivi-romagna-dice-no-al-nuovo-spuma…/
Ora:
pare assurdo, prima di tutto, che le istituzioni parlino di una DOC quando essa stessa NON E’ nemmeno stata approvata; inoltre, vorrei seriamente che mi fosse spiegato come si fa a valorizzare un vitigno (il trebbiano romagnolo nella fattispecie) omettendone il nome nella denominazone.
Ma soprattutto,
essendoci già una DOC esistente con il nome “Romagna DOC Trebbiano spumante” che prevede l’uso minimo dell’85% del suddetto vitigno, come si valorizza esso stesso con una nuova DOC che ha come minima percentuale il 70%?
Io credo invece, che la cosa sia fatta proprio per NON evidenziare il vitigno utilizzato; quindi, ammettendo che la DOC venga approvata e se veramente volete valorizzare l’uva trebbiano romagnolo, perché nella nuova DOC non fate obbligo di utilizzo del suddetto vitigno “in purezza”?
Dunque,
care istituzioni (e nelle istituzioni ci metto anche il CVR), oltre a chiarirmi il motivo per cui viene nominata una DOC che formalmente non esiste, chiedo anche che mi sia spiegato perché (visto che i disciplinari delle DOC sono nati per tutelare il patrimonio ampelografico regionale e per salvaguardare il modo di fare vino di quel territorio) si debba ricorrere a questa ulteriore e inutile nuova introduzione che sembra essere invece un tentativo di inseguire le mode e la tendenza, quasi a voler ridurre il disciplinare a mero strumento di marketing (come appare chiaramente nell’articolo riportato in foto) e non certo la salvaguardia della tipicità e della tradizione.
Infine, la lettera di cui al link riportato sopra, perché non è stata assolutamente presa in considerazione dall’assessorato regionale? L’assessorato è di tutti o solo di qualcuno? Perché la portavoce della delegazione romagnola della FIVI non è stata nemmeno convocata per ascoltare le nostre perplessità (scrivo nostre perché la lettera è stata firmata anche dal sottoscritto)?
E’ ormai assodato che il regime non ci ascolta più; del resto la cosa si era già palesata quando, in occasione della precedente vendemmia, ci eravamo già espressi così:
http://www.slowfood.it/…/mcr-non-lo-vogliamo-ve-lo-dobbiam…/

Torno a scrivere dopo tantissimo tempo, ma mi sembra l’occasione giusta.

* AVVISO AI NAVIGANTI, la mia in primis è autocritica e questo scritto serve per mettere in gioco il sottoscritto e tutti i miei colleghi/amici produttori che vivono la propria vita esercitando la professione del vignaiolo; quindi chi si sente ferito nell’orgoglio, eserciti l’opzione che il vecchio Mingardi ci ha insegnato: “se st’al progràma qvè an’t piés brisa, àt và mèl, sintunèzet bàn con un étar imbezèll“; ovvero, siamo nel 2016, i telecomandi li hanno inventati, se non vi va bene, cambiate canale.

Qualche giorno fa il buon Carlo Macchi, ha scritto un interessante articolo a proposito dell’anteprima del romagna sangiovese DOC riserva.

Premesso che sono d’accordo al 100% con quello che ha scritto Carlo, mi preme di riflettere su una cosa:

come sono state fatte le riserve di sangiovese in romagna in tutti questi anni?

La definizione corretta ce l’ha data sempre il Macchi: “si vuole creare il grande vino e questo nell’immaginario collettivo di molti produttori deve giocoforza passare dall’iperconcentrazione, da un uso spesso esagerato e marcante del legno, da vini giocoforza molto fasciati e monolitici e, … da gradazioni alcoliche quasi sempre superiori a 14°. Così in realtà si creano dei vini grossi, non dei vini grandi…”

IMG_1249

Se vogliamo, la colpa è stata anche delle tipologie di vino premiate negli anni passati che hanno creato effettivamente questo stereotipo e ciò non ha aiutato certo a capire la direzione giusta per cercare di fare una riserva che sia un vino serio e non una caricatura. Chiamatela ingenuità, incapacità, mancanza di conoscenza, ma il risultato è sotto gli occhi (e il naso e la bocca) di tutti.

Si dice che la riserva non si possa fare dappertutto per diversi motivi (territorio, clima, esposizioni, terreno etc); io invece su questo non sono d’accordo. Per me non è una questione di territorio o di variabili analoghe, ma semplicemente di interpretazione del territorio stesso e delle proprie vigne al fine di ottenere una “riserva” che sia, appunto, un vino serio; una consapevolezza di quello che debba essere.

Innanzitutto si parte dal sangiovese che ha una infinta serie di cloni e ognuno di essi ha diversa attitudine; se nella vigna c’è un clone che magari non è adatto per il fine posto, allora è chiaro che la riserva sarà di difficile riuscita; secondo me è il vignaiolo che deve capire quale tipo di sangiovese si adatta meglio alla zona in cui ha le vigne. Per non parlare degli affinamenti in legno… perchè ormai è evidente che appesantire con anni e anni di legno (grande o piccolo non cambia il concetto) vini già di per sè stessi strutturati, porta ad un appesantimento della beva e ad una perdita di slancio, e si finisce con il lasciare la bottiglia mezza. E se la bottiglia non finisce, vuol dire sempre che c’è qualcosa che non va. Quindi ben vengano riserve agili, bevibili ma al contempo profonde e di buona struttura.

Aggiungo una cosa sola: si parla troppo poco di MGA. Il sangiovese con MGA non riserva è purtoppo relegato ad un mero sostituto del superiore; in realtà non è così: il disciplinare è diverso, è più restrittivo e chissà che finalmente non sia espressione vera del territorio. Questo anche perchè ancora oggi molti si aspettano una cosa da un territorio, ma in realtà il vino che degusta è diverso dalle aspettative. Mi tocca, a dimostrazione, ancora andare a prendere uno stralcio dell’articolo sopra citato: “…pur ammirando il grande lavoro di suddivisione del territorio della Romagna enologica fatto dal 2006 ad oggi, continuo a pensare che i vini romagnoli solo raramente rispecchiano in pieno le pur giuste suddivisioni (con annessi e connessi tipi di suolo, microclimi, esposizioni etc) e che alla fine dei salmi prevale essenzialmente la mano del produttore. Non si spiegherebbe altrimenti come dei sangiovese che, sulla carta, dovrebbero avere tannini grossolani li abbiano fini e viceversa, che dove si decreta sapidità questa manca e viceversa…”.
Alla fine della fiera, la mia coppia di domande è: “E se fino ad adesso nessuno ci avesse capito niente delle varie zone del Romagna Sangiovese?”… “Vuoi proprio che siano i produttori che con il loro modo di trattare la vigna e di vinificarne il frutto, a passare sopra al territorio?”

Le possibili combinazioni di risposte portano a risultati diversi.

Fate il vostro gioco

Mad World

Riflessioni… sul mondo… oggi…

Pausa

Dopo la lunga pausa estiva e vendemmiale, ho bisogno di riflettere su tante cose, sistemi, comunicazione, persone et al.

Per cui me ne prendo un’altra e lunga parecchio…se sarò ispirato scriverò ancora per i miei pochi lettori…

tasto-di-pausa

Chi mi vuole incontrare e assaggiare i miei vini, sarò sempre in cantina ad aspettarvi oppure alle manifestazioni che tanto sono pubblicizzate sui vari social networks.

Adesso vi lascio per un po’ in buona compagnia; questa canzone è un po’ l’emblema del mio stato d’animo.

Operazioni in verde

La grandine ci ha fatto visita all’inizio del mese, le piogge battenti si sono rivelate un toccasana per le viti trapiantate ad aprile nell’ettaro nuovo di Sangiovese; ma le piante adulte vegetano tantissimo e il dilemma è se eseguire gli interventi di cimatura e come eseguirli.

CimaturaL’idea è quella di tagliare poco e spesso per non provocare eccessivo stress alle piante e per evitare che si squilibrino troppo. C’è da dire che il terreno è bagnato e quindi, anche se un po’ di sostanze vengono sottratte al grappolo per “nutrire” le cime, non è un male; anzi, si evitano grappoli con acini a maturazione, della grandezza di una ciliegia.

Comunque sia, gli intereventi vanno fatti, altrimenti si rischia di non passare più con le macchine in mezzo al vigneto. Per contro, in caso di ulteriori manifestazioni “funeste” (tocchiamo ferro), una vegetazione rigogliosa ripara i grappoli e un po’ li salva; ma se poi il clima, da qui alla maturazione, sarà umido o piovoso, ci potranno essere problemi sanitari. Cose ovvie ma che vanno comunque considerate.

Si tratta sempre di valutare i pro e i contro.

A chi può interessare, c’è un video postato su Winesurf, che spiega bene l’argomento, che potete vedere qui sotto.

 

Vini ad Arte 2013

Finita anche la Kermesse di Vini ad arte, è ora di fare alcuni bilanci e prima di “tirare” questi, occorre farsi alcune domande:

1 – Come mai i ristoratori e gli enotecari di Romagna e province limitrofe (diciamo la stragrande maggioranza di loro) non si sono visti?

2 – I rappresentanti delle varie aziende, sono venuti tutti (o quasi) alla manifestazione, in modo da farsi trovare pronti in caso di presenza di eventuali ristoratori/enotecari; perchè la loro presenza non è giustificata in altro modo, altrimenti per quale motivo si trovavano tutti lì?

3 – Ha senso fare una manifestazione a Maggio quando si va verso la bella stagione e di vini (nella fattispecie rossi e nella fattispecie Sangiovese) la ristorazione meno ne sente parlare, meglio è (la scusa del caldo torrido è sempre dietro l’angolo)?

4 – Ha senso fare una manifestazione come questa sempre a Faenza quando (almeno fino all’ultima edizione) c’è già Enologica (la quale sarà spostata, pare, a Bologna)?

5 – A qualcuno gliene frega qualcosa dell’antperima del  Sangiovese di Romagna/Romagna Sangiovese al di fuori di qui? La domanda pare strana, ma in realtà non lo è; forse occorrerebbe riportare Vini ad arte nel periodo delle anteprime Toscane alla fine di Febbraio, ma l’interesse del pubblico (tranne i soliti 4 accaniti) rapportato al Chianti Classico o al Brunello di Montalcino (per citare i 2 casi più eclatanti) è praticamente pari a zero.

6 – Ha senso utilizzare ancora una DOC che per certi versi è gestita dalle Cantine Sociali, le quali da sole sono in grado di cambiare il disciplinare come pare a loro anche se tutti i piccoli produttori messi assieme votassero contro? L’esempio dei famosi 10 g/litro di residuo zuccherino ora ammessi dalla DOC è solo un piccolo esempio. E quindi ha senso fare una manifestazione imperniata e investire risorse fisiche e finanziarie, energie e tempo su di una DOC che ha un appeal pari a quello di Maga Magò?

A tal proposito sciverò fra non molto del mio pensiero di uscire vita natural durante dalla DOC (meglio dire DOP oggi) e fare IL MIO SANGIOVESE e i motivi di questa idea.

Quindi, dopo tutte queste domande, cerco di trovare delle risposte per capire un po’ di cose:

Domanda 1: Non gliene può fregare di meno.

Domanda 2: Non riesco a trovare una risposta che una, ma non cambia di molto.

Domanda 3: Non ha molto senso.

Domanda 4: Vedi risposta precedente.

Domanda 5: Vedi risposta alla domanda 1.

Domanda 6: No.

A fronte di tutto ciò, non so se parteciperò di nuovo a questa manifestazione; la quale (va detto) è stata organizzata bene, anzi benissimo considerati i tempi in cui l’organizzazione è stata fatta.

Infine, un consiglio che va preso come oro colato, ci viene da Carlo Macchi, direttore della rivista on line “Winesurf” che, a riguardo delle riserve di Sangiovese descrive un profilo che trovo molto azzeccato.

Ci dice: “Molti vini anche in questa categoria, che però si è sfoltita velocemente perché ho deciso (dopo 3-4 assaggi) di non assaggiare le riserve 2011-2010. L’ho fatto perché si tratta di vini assolutamente in evoluzione ma adesso troppo ingessati tra tannini da ammorbidire, legni da digerire e  complessità da far venire fuori. Meglio quindi assaggiare 2009 e 2008, dove si trovano vini più espressi e compiuti. I Sangiovese Riserva  si confermano così una tipologia che ancora deve trovare il giusto equilibrio commerciale. Non si può basare la stragrande maggioranza della propria produzione su vini che  strizzano l’occhio alla piacevolezza per poi passare ad una riserva monolitica, chiusa, ingessata, che nella migliore delle ipotesi avrà bisogno di molti anni per rendersi presentabile. Badate bene dico presentabile, non grande! Questo perché non è che facendo dei vini grossi automaticamente si abbiano dei vini grandi. L’equilibrio è fondamentale, la profondità gustativa e aromatica è basilare ma molte riserve sembrano il fratellone gnucco, quello alto e grosso ma non certo il più sveglio in famiglia. Poi per fortuna ce ne sono di buone ma è l’interpretazione generale che mi crea non pochi dubbi.”

Ecco, questo deve farci riflettere…

Ai miei colleghi le loro risposte.

Addio grande uomo!

Queste sono notizie che non si vorrebbero mai leggere: ci ha lasciato il più grande produttore di Sangiovese mai esistito.

Grazie per i tuoi capolavori.

Tempo funesto

In questi giorni probabilmente i siti meteo hanno avuto i massimi picchi di “audience” della loro breve storia.

Qua da noi da tempo immemore non si vedono 3 giorni consecutivi di sole. Dall’inizio di dicembre i giorni di pieno sole si contano sulle dita di 2 mani; ci sono stati accumuli di pioggia di oltre 500 mm. che hanno fatto sì che i lavori per completare la vigna nuova dove andrà piantato il vecchio clone di sangiovese selezionato ai tempi (anni ’80) a Castelluccio siano alquanto in ritardo; meno male che almeno la potatura e legatura delle vigne si è riusciti a finirla.

Comunque, cari amici, pubblico il bollettino meteo (trovato qui) per i prossimi giorni che è stato valido anche in questi 3 mesi trascorsi dall’inizio di questo stranissimo 2013. Speriamo che non valga per altrettanti mesi; altrimenti dovremo attrezzarci con un’arca.

Bollettino del tempo

Probabilmente alle Hawaii si starebbe meglio…

Dimenticavo, Buona Pasqua a tutti!

La guerra dei mondi

L’eterna guerra tra i vini naturali e industriali è lungi dal finire.War of the Worlds

Nei vari siti specializzati, si parla tanto di vini naturali contro quelli industriali e spesso non si sa nemmeno cosa si intenda con questi aggettivi.

Che la cosa non sia chiara, lo si capisce in generale anche dai commenti delle persone che leggono gli articoli in merito: nella fattispecie ci sono gli enotalebani che intendono per vino naturale un vino dove oltre all’uva non c’è null’altro, ma quell’uva deve provenire da coltivazione senza interventi chimici; altri invece dicono che ammettono un po’ di metabisolfito e zolfo e rame in vigna per salvare l’uva, altri ancora sostengono che i vini naturali non possono esistere perchè l’uva da sola non si raccoglie e non si pigia. Insomma, le interpretazioni sono diverse.

A tal proposito, il sempre bravo Carlo Macchi direttore di Winesurf ha scritto un’interessante articolo qui dove si pone alcune domande e dove spiega il perchè sarebbe meglio evitare questi due termini.

Le domande che si pone sono tutte meritevoli di risposta:

Cosa vuol dire “naturale”?

1.    Naturale vuol dire lasciare le uve allo stato di natura quindi attaccate alla pianta?
2.    Naturale vuol dire raccogliere le uve e vinificarle senza assolutamente nessun ausilio esterno e avere come  risultato spesso un ottimo aceto?
3.    Naturale vuol dire coltivare la vigna senza alcun ausilio esterno di natura chimica o semplicemente organica che possa in qualche maniera creare danni al terreno ? (In questo caso, per inciso,  i vini biologici non sono naturali)
4.    Naturale vuol dire quanto scritto sopra più seguire gli stessi precetti in cantina, quindi zero solforosa e zero compagnia cantante?
5.    Naturale è un vino che non fa male quando lo bevi, quindi che non ha sostanze tossiche al suo interno? Ma l’alcol non è una sostanza tossica?
6.    Naturale vuol dire cercare di produrre buone uve utilizzando il meno possibile gli ausili fisico-chimici permessi nella produzione delle uve e del vino?

7.    Naturale è un vino rispettoso del territorio?
8.    Naturale vuol dire che non è un vino industriale, ma allora che cos’è un vino industriale?

Vediamo quindi di definire il vino industriale

1.    Industriale è un vino prodotto da una cantina che non è un’azienda agricola?
2.    Industriale è un vino prodotto da chiunque (azienda agricola, società varie, coltivatore diretto etc) ma con l’ausilio dei prodotti ammessi dalla legge?
3.    Industriale è un vino da agricoltura biologica ma vinificato non rispettando la nuova normativa sui biologici?
4.    Industriale è un vino prodotto da una grossa (o anche piccola) cantina con uve da agricoltura biologica e vinificato rispettando i parametri della nuova legge sul biologico che sono talmente ampi da permettere quasi tutto?
5.    Industriale è un vino che viaggia in cisterne (legalmente s’ intende) e quindi per evitare rischi deve essere almeno solfitato?
6.    Industriale è un vino prodotto in grandi quantitativi?

Se uno si prende la briga di andare a cercare sul vocabolario della lingua italiana, il significato della parola “naturale”, è questo:

Della natura, che riguarda la natura o si riferisce alla natura, nel suo significato più ampio e comprensivo.

Capite anche voi che il significato è molto generale ma ci chiarisce poco sulla specificità.

Idem per la parola “industriale”:

Dell’industria, relativo all’industria in senso specifico

Sarebbe interessante, nel caso uno voglia usare uno di questi due aggettivi associati alla parola “vino”, che gli illuminati che trattano quotidianamente quest’argomento, ci dessero in maniera risolutiva, una definizione.

Due anni dopo

E’ passato un’altro anno; mancano i tuoi consigli, le tue incazzature per le stupidaggini mie e di Gian Luca e manca anche questa musica che si sentiva entrando in casa.